lunedì 9 novembre 2009

West Germany bikes: MZ


La MZ, casa costruttrice dell' ex-DDR, rappresenta probabilmente il marchio motociclistico tedesco più famoso dopo la BMW, nonchè l' unico oggi esistente in Germania oltre alla Casa bavarese (ma anche la Sachs ha da poco ripreso la produzione motociclistica). Tuttavia, fino all' inizio degli anni '90, essa è stata considerata dai tedeschi (non a torto...) l' esatto opposto della BMW, almeno per quanto riguarda le moto di serie: se la BMW ha sempre costruito moto raffinate e curate quanto costose, la MZ ha prodotto moto semplicissime, rozze e fumose, decisamente solide e ben progettate, ma spesso penalizzate da un assemblaggio più alla "russa" che alla "tedesca". Insomma, a dispetto della "valchiria" tedesca che cavalca un modello degli anni '70 (in alto), è un pò come mettere a confronto una Mercedes e una Trabant...Tuttavia, tale immagine sta ormai scomparendo, come vedremo in seguito.
Gli inizi: le moto da GP, le enduro, i prototipi Wankel
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La MZ nasce nel 1946 dall' ex-fabbrica DKW di Zschopau, finita, dopo la guerra, sotto il controllo dei Sovietici (da una "costola" di tale Casa sarebbe nata anche la casa automobilistica Trabant); i primi modelli prodotti sono appunto DKW d'anteguerra, prima fra tutte la famosissima "RT 125" (prime tre foto in alto), copiata dalle industrie motociclistiche di mezza Europa (ed anche dalle giapponesi!). La "RT 125" della MZ conservava tutte le caratteristiche dell'analogo modello DKW, con motore due tempi da 6,5 cv, per una velocità max di 85 km/h. Viene prodotta anche l'originale BK 350 (quarta foto), bicilindrica boxer a 2 tempi con trasmissione ad albero, rimpiazzata successivamente dai noti modelli monocilindrici. Fino al 1956 la fabbrica si sarebbe chiamata "IFA" (dicitura che sarebbe comunque rimasta "incorporata" per diversi anni accanto al marchio MZ, acronimo di "Motorrader Zschopau").
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La MZ comincia da subito a farsi notare con le sue prime, ottime realizzazioni autonome. La ES 175/250 del 1956 (prime quattro foto in alto, delle quali la terza raffigura una pubblicità di abbigliamento dell'epoca, e la quarta una bella versione sidecar),incontra un notevole successo come moto da granturismo, proprio come le BMW! Difatti tutto il mezzo viene progettato in funzione di questo utilizzo, con numerosi vani sotto la sella, nelle fiancate e persino nel parafango posteriore; inoltre, le sospensioni sono morbide e confortevoli, la costruzione (al contrario delle sue eredi) accurata, e la linea -seppur piuttosto massiccia e "teutonica"- è davvero moderna per l' epoca, e non priva di un suo fascino. I motori MZ erano piuttosto validi, tanto che nel 1961 venne realizzata la Italemmezeta "Sport Junior 125" (quinta foto, tratta da www.frankmoto.com ; "Italemmezeta" fu il primo nome dell'odierna Italjet), frutto dell'unione del motore tedesco con una bella ciclistica prodotta in Italia. Per tale moto venivano dichiarati 14 cv, 125 km/h, 75 kg di peso.
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Da tale moto, nel 1965, fu ricavato anche un prototipo con motore Wankel mai entrato in produzione: il "KKM 175" (prima foto in alto), con motore Wankel da 175 cc, raffreddato ad aria, 24 cv per 140 km/h. Questo modello era stato preceduto da un altro prototipo, il "KKM 175-W" (seconda e terza foto, 1963), equipaggiato con un motore sempre di tipo Wankel monorotore, ma raffreddato ad acqua (la "W" sta appunto per "Wasser", ovvero acqua) e con albero motore longitudinale e trasmissione finale ad albero; in questo caso il telaio era quello della "BK 350" bicilindrica boxer due tempi. La MZ sperimentò i motori Wankel per circa una decina d'anni, dal 1960 al 1968, dopodichè il progetto venne abbandonato perchè troppo complicato e costoso per una moto destinata alla produzione in grande serie. Ad ogni modo, pare che le MZ Wankel siano state fra le prime (se non addirittura le prime) moto ad adottare questo tipo di motore.
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A cavallo fra gli anni '50 e '60, la MZ si fa protagonista di una rivoluzione copernicana nel settore dei motori a due tempi. E' di questo periodo, infatti, la partecipazione della MZ ai Gran Prix, con moto dotate di distribuzione a disco rotante. Per capire l' importanza di tale soluzione tecnica, basti pensare che l'Aprilia ha vinto gare su gare proprio grazie ai motori con ammissione a disco rotante, soluzione che migliora le prestazioni ad alti regimi. La MZ si propone così, all' inizio degli anni '60, quale Casa dotata di una eccellente capacità progettuale. In alto, vediamo alcune immagini della RE 250 (nella quarta foto, un esemplare con carenatura in vetroresina), bicilindrica 2 tempi da oltre 50 cv di potenza, che mise in riga più volte le realizzazioni occidentali a 4 tempi di pari cilindrata.
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Tuttavia, ben prima che all' Aprilia, le innovazioni della MZ (in alto a sinistra, un' altra immagine della RE 250, del 1954) sarebbero state utili alla Suzuki, ma con metodi "illeciti". Nel 1961, infatti il pilota Ernst Degner (seconda foto in alto, in sella ad una "RE 125", dotata anch'essa di ammissione a disco rotante) fugge dalla Germania Est, portando con sè moglie, prole e...segreti tecnici delle MZ da GP, prontamente utilizzati dall' esordiente quanto agguerrita Casa nipponica. Tale operazione di "spionaggio" porterà la MZ a chiudersi sempre più dentro i confini nazionali, oltre che ad abbandonare i GP di velocità, qualche anno dopo. Nella terza foto, un'altra immagine della "RE 125" (che, per la cronaca, aveva 16 cv per 155 km/h) in versione con carenatura a "campana". Con la moto nella quarta foto, invece, realizzata nel 1975, si interrompe invece l'impegno della MZ nel Motomondiale (prima del rientro, datato 1999): è la "RZ 250/2", con 63 cv dichiarati, per 240 km/h di velocità max (preceduta dalla "RZ 250" nella quinta foto, con 58 cv di potenza). E' l' ultima rappresentante di una generazione di motori a disco rotante che ha dato prestigio alla Casa tedesca.
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Tuttavia, la MZ si rifà abbondantemente nell' enduro: a partire dai primi anni '60, sino all' inizio degli anni '80, la MZ sarà una delle dominatrici dei Campionati Europei. In alto, da sinistra, una "ES 300 Six Days" del 1963, un gruppo di "504 Enduro" del 1979, e due foto della "250 GE" dei primi anni Ottanta, dotata di monoammortizzatore posteriore.
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L'impegno della MZ nei campionati di enduro è terminato verso la fine degli anni '80, e a tale periodo risalgono le tre moto ritratte in alto (fra gli ultimi esemplari realizzati): nelle prime due foto (tratte da http://www.lagranda.com/mario_classic_bikes/index.html, un bel sito su varie moto da enduro d'epoca), la 250 del 1986 con raffreddamento ad aria, appartenuta al campione tedesco Harald Stürm, e, nella terza foto, un'altra 250 del 1988, con forcella rovesciata e raffreddamento a liquido, in piena sintonia con i tempi.
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Le moto da competizione, però, erano quasi sempre riservate alle squadre nazionali di enduro, e costruite a mano in pochissimi esemplari. La produzione di serie, a partire dagli anni '70, comincia infatti a segnare il passo. Le ES 175/250, ormai obsolete, rimangono in produzione fino al 1977 senza radicali cambiamenti; le versioni successive cambiano poco o niente, come si può ben vedere dalla "TS 125" (in alto), prodotta dal 1973 al 1985. Nella seconda foto, invece, la più piacevole "ETS 250 Trophy Sport" (1970), dal look sportiveggiante, e dotata di un motore da 19 cv capace di spingerla a 130 km/h. Nella foto in alto a destra, invece, due poliziotti in sella a due MZ del periodo, adattate con sirena e paragambe.
Gli anni '80, il crollo del Muro di Berlino, e alcuni prototipi
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Nel 1981, nasce la serie "ETZ" (tre foto in alto), nelle cilindrate 125, 150, 250 e 300 cc. Dotate di freno a disco anteriore, cambio a 5 marce, accensione elettronica, miscelatore automatico, e di un cilindro rinnovato, queste moto, all'epoca del loro debutto, si potevano definire tutto sommato non eccessivamente lontane dalla concorrenza. Tuttavia, il rapido evolversi dei motori 2 tempi durante gli anni '80 fa invecchiare velocemente anche questa moto (e, nelle intenzioni della MZ, doveva essere financo una moto sportiva...).
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In alto, altre due versioni della "ETZ" (prime due foto in alto): il sidecar, e un esemplare in dotazione alla polizia dell' epoca (i famigerati "vopos"). A differenza di altri modelli dell' Est maggiormente datati, la ETZ, come del resto anche i modelli precedenti, ebbe un buon successo anche all'estero, in particolare in Francia, dove le piccole cilindrate economiche hanno avuto sempre un grande seguito (specie la 125 fu l'alternativa più a buon mercato per parecchi neo-motociclisti d' Oltralpe). Verso la fine degli anni '80, la MZ prova a rinnovare la "ETZ" realizzandone una versione 500 (terza foto), con motore Rotax monocilindrico quattro valvole. Questa versione servirà da base per le prime realizzazioni dell'era post-comunista. Da rilevare che le MZ a 2 tempi vennero assemblate persino in Brasile (!): nella quarta foto (tratta da www.motosantigas.com.br) abbiamo difatti la MZ-FBM "250 RSJ" del 1986, prodotta per qualche tempo dalla FBM (Fabrica Brasilerira de Motos). Tale versione, che a differenza della "ETZ" tedesca aveva una carrozzeria più moderna e totalmente realizzata in vetroresina, non fu mai prodotta in Germania. Nella quinta foto, invece, un prototipo realizzato dalla Italjet nel 1988, l' "Angel 125", che della ETZ utilizzava motore, sospensioni, freni e gran parte della componentistica (il telaio invece era differente, a doppia culla). Presentato al Motor Show di Bologna, non venne mai messo in produzione.
  
Anche per la MZ, nel 1989, scocca l' "ora della verità", ovvero la caduta del regime comunista. Come tutte le Case dell' Est europeo, la MZ viene immediatamente travolta dalla crisi, e per un pò sopravvive grazie ai fondi stanziati dal governo regionale della Sassonia; ma la fabbrica di Zschopau, che in passato produceva 80.000 moto all' anno, è ormai un "dinosauro", enorme ed arretrata. Il marchio MZ viene così acquistato nel 1992 da Peter Karel-Kouros, un imprenditore tedesco intenzionato a rilanciarlo. Cambia il marchio (in alto), ispirato nella grafica a quello della DKW, la ragione sociale muta in MuZ (Motorrad Und Zweirad werke, "Fabbrica moto e sidecar"), e a seguito di ciò viene aggiunta una piccola "u" nel marchio stesso (oggi non più presente), e viene costruito un nuovo stabilimento, sempre a Zschopau, più piccolo (capace di produrre 10.000 moto all' anno) ma decisamente più moderno.
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La nuova gamma comprende la serie "Saxon Tour", derivata dalle vecchie ETZ 2 tempi e comprendente una versione con motore Rotax 500 4T (nella prima foto, la 500 quattro tempi, ritratta anche nella seconda foto assieme alla 250 ed alla 125 "Sportstar"), nonchè la "Silver Star 500"(terza foto), una piacevole stradale old-style disponibile anche con sidecar (così come lo erano le vecchie ETZ), e la "Saxon Country 500", un' enduro un pò anacronistica, sempre con telaio ETZ e motore Rotax monoalbero quattro valvole. Tuttavia, queste moto erano evidentemente un un temporaneo "ripiego", in attesa di novità più sostanziose.
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Ed infatti, a fine 1992, al salone di Birmingham, viene presentata la "Skorpion", un' aggressiva monocilindrica sportiva con motore Rotax 500 (ma era prevista una versione 600), frutto di un progetto completamente nuovo. Lo styling è curato dall' inglese Seymour-Powell, così come di progetto inglese è la ciclistica, realizzata dalla Tigcraft e composta da un' innovativa struttura in tubi di acciaio che fungono anche da serbatoio dell'olio, incollati con resine epossidiche: soluzione adottata in campo aeronautico (nella foto in alto, la "Skorpion 500" ed un particolare della coda, con il grintoso scarico rialzato). La moto desta scalpore per le sue ardite soluzioni tecnico/estetiche, e piace sia alla stampa specializzata che al pubblico.
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Ma la "Skorpion", purtroppo, viene lanciata su mercato quasi due anni dopo, visibilmente mutata (prima foto in alto, affiancata dalla versione naked -chiamata "Skorpion Tour"- nella seconda foto): il motore non è più un Rotax, bensì uno Yamaha XTZ 660, dotato sì di raffreddamento a liquido, ma anche più pesante (un Rotax sarebbe stato migliore anche sotto il profilo dell' immagine, in quanto proveniente dalla vicina Austria, e non dal Giappone). Inoltre, l' interasse è cresciuto sensibilmente (da 1364 a 1420 mm), sminuendo le doti di agilità proprie di una monocilindrica, che deve avere doti di agilità, grinta ed essenzialità estrema; il forcellone è in acciaio e non più in lega d' alluminio, e i tubi del telaio non fungono più da serbatoio dell' olio, che trova alloggiamento in un contenitore di plastica sotto la sella. Ma, soprattutto, l' estetica è stata deturpata da un codino più lungo e squadrato, adottato per migliorare l'abitabilità del passeggero, nonchè da uno scarico troppo lungo e basso e da un fanalino preso di peso dalle vecchie ETZ!
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A dispetto della situazione non rosea, vengono ottimisticamente presentati, fra il '95 ed il ''96, due nuovi prototipi mai entrati in produzione: la "Kobra" (prime due foto in alto), una bella sportiva con motore Yamaha TDM 850, e l'assai meno convincente"Bantam" 125 (terza foto in alto), entrambe disegnate dalla Seymour/Powell. Quest' ultima moto -equipaggiata con un datato motore Honda CG 125, ad aste e bilancieri!- doveva essere la riedizione moderna della BSA "Bantam" anni '40, ma soprattutto, nelle intenzioni dei vertici MZ, sarebbe servita a rilanciare il glorioso Marchio britannico...inutile dire che, a tale scopo, ci vuole ben altro!
Fonte: http://www.autosoviet.altervista.org/main-italian.htm

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